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In quelle parole non trovo mio figlio

In quelle parole non trovo mio figlio

Qualche tempo fa, in aria di giudizi e revisioni intermedie, una cara amica mi ha contattata per sapere dove poteva trovare gli “obiettivi” valutati alla scuola primaria. La domanda mi è sembrata tradire un dubbio più profondo, dal momento che arrivava solo all’inizio della carriera scolastica del suo terzo bambino, e mi ha lasciato facilmente intuire che aveva delle perplessità sulla sua prima pagella. Con discrezione ho fornito qualche riferimento ministeriale e mi sono resa disponibile a qualsiasi chiarimento che trovasse difficile sottoporre alle insegnanti.

Dal fiume in piena delle sue emozioni, in virtù tanto della nostra amicizia quanto della mia responsabilità professionale, mi sono sentita travolta: “In quelle righe non ritrovo mio figlio”.

Come darle torto? Quante ore ho trascorso con le colleghe alla ricerca delle formule più adatte a compilare relazioni, giudizi, PEI e PDP? Ma anche per noi, che abbiamo a cuore le sorti di tutte le complesse e uniche personalità che ci troviamo ad accompagnare nella crescita, pur in assenza del trasporto e dell’investimento emotivo propriamente genitoriale le parole non sono mai bastate a coglierne anche solo una per intero, in modo veritiero e soddisfacente.

Lo sfogo di questa mamma, che a differenza di quando sono a scuola posso contestualizzare conoscendo il background personale e la risolutezza con cui lei e il marito hanno affrontato le difficoltà per dare il meglio a ciascuno dei quattro figli, mi ha permesso di vedere più chiaramente il vero volto di ogni genitore che si è seduto di fronte a noi, negli anni, pronto a sollevare le proprie critiche sul nostro operato.

Spesso stanchezza, frustrazione, fatica fanno dimenticare a noi quanto può essere difficile accettare che un figlio o una figlia possano vivere un disagio, avere una difficoltà o semplicemente non rispondere alle aspettative che ci si è inevitabilmente creati sulla sua esperienza scolastica, ai genitori quanto la professionalità, le competenze e la passione di una figura educativa altra possano essere un valido aiuto per ritrovare uno sguardo più oggettivo su questi aspetti. Dovremmo tutti tenere a mente, invece, che abbiamo in fondo lo stesso ambizioso obiettivo: insegnare a bambini e bambine a utilizzare gli strumenti di cui sono in possesso per affrontare le sfide che la vita porrà loro di fronte non necessariamente con facilità, ma sicuramente forti di una solida autostima. 

Anche nelle parole più difficili da accogliere non ci sono giudizi né etichette, solo particolari attenzioni. In fondo, se possiamo trovare un senso e una reale utilità a tutta questa onerosa e invadente burocrazia è di sicuro quello di condividere le indicazioni utili a raggiungere una mèta comune, tenere traccia dei vicoli ciechi e ipotizzare insieme nuovi possibili vie da percorrere.

Ecco, dunque, il mio consiglio per rivoluzionare l’esperienza della valutazione In vista delle pagelle di fine anno: non cercate il vostro bambino o bambina in una relazione, in un PEI o in un PDP… perché non c’è. Non c’è tutto, almeno.

Quello che mettiamo nero su bianco sono le criticità sulle quali vogliamo fare chiarezza per potere intervenire nel modo più efficace possibile, la punta di un iceberg il cui potenziale sommerso anche le insegnanti hanno nel cuore, pur trovando difficoltoso trasferirlo sulle pagine. Abbiate fiducia, quindi, se potete: tra qualche anno le parole sulla carta saranno dimenticate ma i piccoli e grandi frutti di una stretta e virtuosa collaborazione tra le figure educative saranno indelebili.

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